martedì 8 settembre 2015

Il 29 agosto mi chiedevo: La Felicità è una scelta?

Il 29 agosto mi chiedevo se la Felicità fosse una scelta, e lo facevo perché avevo vissuto un inizio di giornata complicato. Non pubblicai il post perché non ero sicura di volerlo davvero. Poi oggi si è riproposto il medesimo problema, di una giornata molto difficile sin dal principio, e per non ripetermi, ho preferito proporre quanto avevo scritto in quel sabato mattina... il ginocchio non si è incastrato, ma il resto non cambia... buona lettura.

29/08/2015
Oggi non è una buona giornata. Lo so, è soltanto all'inizio, ma è iniziata male, malissimo! Mi sono svegliata per il dolore al ginocchio destro, si era incastrato come sempre quel maledetto, e ho sofferto le pene dell'inferno per farlo tornare a posto (e non apposto che è participio passato di appòrre, sappiatelo l'italiano giornalisti!). Nonostante questo risveglio un po' brusco, la dodicesima seduta di fisioterapia era fissata per le 8:00 (qui le foto e i video, casomai vi interessassero) e non potevo mancarla - e la mia dedizione al progetto #fisioterapiarules mi imponeva di andare; non è stata la seduta della vita, ma è trascorsa al meglio che ho potuto, anche se il ginocchio ha deciso di incastrarsi altre tre volte, protagonista che non è altro.
Sono tornata a casa abbastanza demoralizzata - dopo tutto il lavoro che sto facendo da un mese, tornare al punto di partenza non è stato piacevole, e non trovare il giusto supporto da chi mi sta intorno mi ha resa ancora più triste. 
Poi mi sono detta: "la felicità è una scelta, quindi sorridi perché di ragioni per farlo ne hai a bizzeffe", e mi sono rilassata. Oddio, non sono ancora giunta alla fase Zen ma ci sto lavorando.

Cercando su internet qualche ispirazione che mi permettesse di affrontare questa giornata al meglio, mi sono imbattuta in un articolo di un certo Sandro Calvani - mai sentito nominare, lo ammetto - sulla felicità secondo la filosofia orientale, argomento che mi incuriosisce da qualche tempo, dal titolo: Il nirvana dell'umanità: La ricerca della felicità in uno dei capisaldi della cultura orientale...
Me lo sono letto un po' scettica e, contrariamente alle mie aspettative, la mia curiosità è triplicata.
Non voglio mettermi a riassumere ciò che è contenuto nell'articolo, potete benissimo leggerlo da soli, anche perché non è kilometrico come molti che si trovano sul web, ma concentrarmi sul perché io sia tanto attratta dall'argomento Felicità.
Sono sempre stata una persona spensierata, allegra, gioviale, ma al contempo presento zone d'ombra alquanto abissali, che da tempo si insinuano nelle mie giornate, rendendole difficili da affrontare. Forse è il risvolto della medaglia, il contro dei miei pro, che mi vedono vivere la vita al massimo nel bene, e quindi anche nel male.
Una delle figure che maggiormente detiene il possesso dei miei sorrisi è mia madre. Non sono mai riuscita a capirla e credo non ci riuscirò mai - probabilmente non mi impegno abbastanza, e me ne assumo piena responsabilità, ma per anni mi sono assunta anche la responsabilità della sua infelicità, e adesso mi resta difficile venirne fuori.
Non credo di averla mai vista davvero felice e me ne dispiaccio, perché per quanto mi possa far saltare i nervi, resta mia madre e vorrei che fosse serena, per quanto le è possibile.
Chi la conosceva da giovane e si trova a conoscere me, millanta quanto fosse buffa e divertente, compagnona e gioviale, proprio come me - "Sei come tua madre!" mi dicono, e a me questa cosa spaventa, tanto! Perché quella persona di cui mi raccontano io non l'ho mai incontrata, nemmeno una volta in vita mia.
Se dovessi descrivere mia madre direi: grande lavoratrice, ottima donna di casa, generale dell'esercito in incognito, determinata, fragile, incostante e confusa.
L'ammiro molto, perché non l'ho mai vista perdere tempo in chiacchiere o futilità. Ha corso una vita senza chiedere niente in cambio, si è data fino allo stremo e ha cercato di fare il meglio, sempre, ma non l'ho mai vista felice una volta, felice davvero.
Il più delle volte era "no" a ogni richiesta, questo ha portato me e mio fratello a innocenti bugie, ma sempre di bugie si trattava. Aperitivi con le amiche? Storceva il naso. 
Cene fuori? mmmm, anche no.
Dormire a casa di tizia o caia? Neanche a parlarne.
Insomma pochi "si", molti "no", qualche "forse".
Eppure si è sempre giustificata con "hai avuto tutto, hai fatto tutto quello che volevi...! e via dicendo. Ma non sa quante volte ho detto no prima ancora di chiedere, a quante cose ho rinunciato perché credevo che stando in casa lei sarebbe stata felice, almeno un po'.
Così non è successo.
Inoltre, tutto ruota intorno a lei, alla sua insoddisfazione, alle sue giornate storte. Anche la mia bulimia al tempo la vide come qualcosa contro di lei... perché poi non l'ho mai capito.
Talvolta mi chiedo come possa vivere in questo modo, come possa sopportare di alzarsi al mattino sempre triste, insoddisfatta, malinconica. Mi chiedo se è veramente questa la vita che voleva, i figli che voleva, il marito che voleva, e penso di no, non lo siamo. Siamo noi il senso di tutto quello che per lei non va: mio padre e la sua leggerezza nel vivere la vita, io con la mia complessa interiorità artistica e confusa, mio fratello con la sua insicurezza convulsa.
Mi viene da chiedermi, però, se davvero ce ne dovremmo assumere la responsabilità, e la risposta è retorica quanto la domanda. 
No! Non è colpa mia, e me lo ripeterò fino a farmi cadere la lingua. 
La felicità è una scelta per me quanto lo è per lei.
Spero solo un giorno di convincermene davvero, senza dover avvertire giorno dopo giorno quel senso di impotenza e frustrazione, ogni volta che scendendo le scale mi butta là quel "buongiorno" triste, che grida: "oggi è una giornata di merda e la renderò ancor più difficile dell'umanamente sopportabile".



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