martedì 14 giugno 2016

Attimi di riflessione



















PlayPride 15 maggio 2016


Che giornata spettacolare è stata quella!
Prima di tutto perché mi era stata data la possibilità di vestirmi interamente di rosa (fluo per giunta, e in quel contesto la mia malsana mania fluorescente era tollerata), e poi perché non ho trascorso un attimo senza sentirmi bene.
E' da tanto che non scrivo sul blog, perché quando non mi sento a mio agio tendo a fare sermoni e soliloqui tragici e vendicativi, che non interesserebbero a nessuno. Mi sono trovata a cestinare non so quanti post, ma penso di aver fatto più che bene... il lamento non ha mai riscosso grandi successi.
Oggi, però, mi sono svegliata con questa immagine in testa: io assurdamente vestita a fianco di due meraviglie, due amiche che mi accettano per quella che sono (una matta furiosa), che sorridono delle mie manie e ne fanno un valore aggiunto, che sono tanto belle da mozzare il fiato e che mi stringono forte, in quell'attimo magico che è stato il Playpride del 15 maggio 2016.
"Un attimo", così mi appare oggi, un istante di pura poesia, senza barriere, senza discriminazioni.
E' passato un mese, solo 30 giorni, eppure guardo a questa foto come se fosse stata scattata una vita fa, con il sentimento di chi, sentendosi a metà, si accorge di aver lasciato andare qualcosa di importante, ma non sapendo quando e dove, non riesce a trovare neanche il come per farlo tornare.
Ritrovo alle 9:00 del mattino. Arrivo con un quarto d'ora di anticipo (cosa assai rara per me, ma la voglia di scodinzolare in rosa era troppo forte per ritardare come mio solito) e già mi imbatto nell'arbitro assegnato alla Pallavolo che borbotta di fronte alla porta chiusa. "Cominciamo bene!" penso, ma l'infantile felicità con cui mi sono svegliata non può essere spazzata via in un attimo di burberaggine acuta, quindi mi limito a fare quello per cui mi sono alzata alle 6:00 SCODINZOLARE IN ROSA, cazzo, scodinzolare come se non ci fosse un domani, e funziona! La mia ilarità inizia a contagiare anche lui che si sganascia dalle risate di fronte alle mie "prove per gli stacchetti alla cheerleader de no'attri". Arriva Angela puntuale come un orologio svizzero - anche se è molto più carina di un orologio - e le porte della palestra di spalancano. 
Da quel momento in poi le lancette non corrono, volano! Ci troviamo invasi da squadre variopinte (c'era da vincere anche il premio "Miglior divisa") e dai nomi più disparati (per quello nessun premio, ma ci penseremo per il prossimo anno); squadre di uomini, donne o miste, dove l'unica cosa che conta è: "quanto sei bravo a giocare", non chi preghi, se hai studiato, con chi dormi la notte, o chi è il tuo cantante preferito (per quelli che amano Gigi d'Alessio, però, era previsto un girone speciale). 
Stare insieme per vincere, o quantomeno per provarci; calcio, pallavolo, arti marziali e tanto tanto divertimento, grazie anche ai miei stacchetti indimenticabili.
Allora cosa c'è che non va? Perché non sto più bene a guardare quella foto? Ah già, ora ricordo.
E' entrato uno mentre eravamo a festeggiare. Non ce ne siamo accorti subito, la musica era alta e pensavamo che fossero i beat delle casse, ma è bastato un attimo - di nuovo quell'attimo - per renderci conto che qualcosa non andava, che il caos che sentivamo non rispondeva più a grida di gioia, ma a strazianti richieste di aiuto, laceranti urla di dolore. Abbiamo iniziato a veder cadere gli amici sotto le raffiche di colpi sparate alla rinfusa, tanto dove punti punti, in quel marasma c'è per forza un corpo pronto ad accogliere tutto il tuo odio e purtroppo a soccombervi; a poco valeva nascondersi sotto ai tavoli, nei bagni, nel guardaroba, le pallottole volavano come missili diretti al cuore di tutti, dei vivi e di coloro che vivi lo erano stati sino a pochi istanti prima, e magari ti avevano sorriso passandoti accanto. Non riesco a non pensare alle magliette, a quelle stesse magliette che poco prima si muovevano sgargianti in campo e che adesso vedevo colorarsi di rosso sangue e stramazzare al suolo, avvolgendo il corpo senza vita di chi le stava indossando. E poi ancora grida, dolore, corse folli per cercare un riparo, mani che imploravano pietà, piedi che calpestavano teste, braccia, schiene, e ancora... non lo so.
Non posso saperlo, perché al nostro playpride non si è presentato nessuno imbracciando un fucile e distruggendo cinquanta, cento, mille vite. Abbiamo giocato, riso, scherzato e gridato la nostra immensa felicità per quei meravigliosi momenti, per la fortuna di essere lì, insieme, gli uni accanto agli altri, vincenti o perdenti, innamorati, fidanzati, single, cattolici, atei, gay, etero, uomini, donne, alti, bassi, magri, grassi, belli, brutti, assonnati, atletici, stanchi, polemici, chiassosi, studenti, lavoratori, disoccupati, professionisti, dipendenti, juventini, interisti, milanisti, romanisti, aretini, fiorentini, senesi, valdarnesi, vegani, onnivori, vegetariani, fruttariani, intolleranti al lattosio, celiaci, timidi, spavaldi, estroversi, scriteriati, morigerati, pallosi, divertenti e chi più ne ha più ne metta. Eravamo persone, solo persone, proprio come lo erano i 50 di Orlando, le 19 donne curde, i 31 di Bruxelles, i 130 di Parigi, gli 11 di Charlie Hebdo, i 289 in Egitto, i 271 in Nigeria, i 250 nello Yemen, come lo sono le 1600  - così dicono le stime al novembre 2015, dove non si contano i prigionieri di guerra poi giustiziati - vittime di attentati dalla proclamazione del Califfato dal 2014.
A noi non è successo, è vero, ma deve essere successo a tutti noi comunque, altrimenti c'è qualcosa che non va nel genere umano. Se si inizia con lo scegliere le vittime da piangere, chi dei morti nel mondo si merita il minuto di silenzio e chi no, chi la fascia di lutto e chi no, allora il terrorismo ha già vinto, e non parlo di quello che spara vigliaccamente a centinaia di persone stipate in un locale o che mette una bomba nella metro - a uccidere in quel modo, caro Isis dei miei coglioni, siamo bravi tutti credimi. Il vero terrorismo sta nell'assuefarsi al terrorismo stesso, alle stragi sparse nel mondo, alle centinaia e centinaia di morti che giorno dopo giorno ci scorrono davanti in immagini a colori e senza effetti speciali, e che ci indignano meno nel "mi piace" alla foto del nostro ragazzo da parte di quella stronza tutta tette! Ecco ciò che mi terrorizza a morte, che mi pietrifica e mi fa dubitare di volerci ancora stare in mezzo alla gente: la totale indifferenza a ciò che accade, quando non si rovina in atroci inneggiamenti ai fatti avvenuti. In quel caso non riesco a capire quale parte dell'individuo in questione possa essere definito "persona".
Sono felice che quel 15 maggio 2016 la nostra festa sia stata graziata dal sole e dalle risate; ringrazio Angela che mi stringe sorridendo in quella foto e Veronica che si mostra in una posa alla moda, abbracciandomi anche lei!
Le ringrazio e me le tengo strette all'anima, ma non posso fare a meno di notare quanto questa foto assomigli a tante che in questi giorni stanno facendo il giro del mondo, dove persone come noi si stringevano in abbracci sorridenti o si pavoneggiavano in pose alla moda, e che oggi, a causa dell'odio disumano che serpeggia nella mente dell'uomo, non potranno più farlo. 

venerdì 19 febbraio 2016

Era il 23 gennaio 2016...

Era il 23 gennaio 2016, un giorno che ad oggi sembra così lontano, forse quasi mai esistito. Eppure quel giorno io c'ero, me lo ricordo bene e ci sono foto ad attestarlo. Io c'ero e camminavo lentamente seguita da quattro persone - poche direte voi, è vero, ma necessarie al mio scopo, anzi il numero esiguo era quasi preferibile. 
Eccomi lì, all'inizio di piazza San Jacopo ad Arezzo, che mi dirigo silenziosa e lenta di fianco a una folla gremita, ammasso di persone colorate, persone arcobaleno; e non perché fossero tutte gay, se a qualcuno fosse venuto il dubbio, quanto piuttosto perché di ogni età e sesso,  colore e forma, e anche orientamento sessuale, certo. Io nera come la pece rappresentavo il pensiero che inneggia alla "Famiglia normale" - che già da sola come espressione mette paura - incarnavo quella parte del paese ancora convinta che nel 2016 vi siano vite di Serie A e di Serie B, persone migliori di altre solo perché la loro natura è consona a quella di chi punta il dito e risponde alle richieste di una convenzione sociale saldamente radicata e barbaramente mantenuta.
"Non fraintendere, io ho tanti amici gay e lesbiche e gli voglio bene, ma.." che vuol dire? Il senso di questa frase cosa significa?
"Per me possono fare quello che vogliono, basta che lo facciano a casa loro!" che vuol dire? Anche a me fa senso pensare a due che se la godono davanti così a caso, etero o gay che siano - non sono una purista, ma a me i porno non sono mai piaciuti; ho sempre preferito sperimentare sul campo, e lo mio amodes è un eccellente compagno di sperimentazione! (Ti amo!)
"Massimo rispetto per tutti, ma qui si tratta di difendere i diritti dei bambini!" che vuol dire? I bambini esistono, ci sono, e se ne fregano se sono figli di un babbo e una mamma, di due mamme, di due babbi, si interessano solo a una cosa: se vuoi loro del bene, e quanto! Ecco cosa cercano!
Inutile dire che sono migliaia gli esempi di famiglie con un unico genitore (per le più diverse ragioni) i cui figli sono cresciuti senza troppe complicazioni, così come è inutile dire che ci sono troppe famiglie normali al cui interno vi sono problemi ben più gravi del sesso dei genitori.
La famiglia è un concetto assai complicato; spesso non è come la vorremmo, talvolta ci appartiene solo in parte e nella maggior parte dei casi forma una storia a sé, personale, intima, in cui è difficile entrare e dare giudizi.
Ve ne sono di problematiche, a tratti anche assurde, ma il "problema" se c'è è da ricondurre alla persona in sé, piuttosto che al suo sesso. La convivenza fra esseri umani è tanto necessaria quanto difficile, e la famiglia ne è la sua minima espressione, un microcosmo che va formandosi giorno per giorno, che struttura regole proprie sulla base di esperienze pregresse dei componenti e nuovi fattori di disequilibrio. La mia famiglia, assolutamente fuori dall'assioma di famiglia naturale - io e mio fratello figli di un secondo matrimonio e con una sorella solo da parte di padre, ma che è sorella a tutti gli effetti, anche se non ha vissuto con noi... vabbè, è complicata ma bellissima, posso assicurarvelo! - la mia famiglia, dicevo, cambia continuamente e non è certo uguale a quando i miei genitori si incontrarono, a quando decisero di convivere, a quando nascemmo io e mio fratello o a quando, con due figli di 6 e 5 anni, decisero di sposarsi (io c'ero e me lo ricordo bene, ero ovviamente la più bella della festa, con ben tre cambi d'abito!). Le dinamiche che si sono andate formando hanno determinato le mie esperienze, così come le mie esperienze hanno mutato le dinamiche interne al nucleo strampalato che siamo! E poi il matrimonio di mia sorella, due nani di nipoti che più belli non potevano essere, e via ancora verso un nuovo matrimonio - mio fratello è chiaro, non pensate male! Io mi limito a fare da testimone a questo e a quello, ma niente di più! - insomma avete capito, un coas di nuovi membri e feste, tragedie e lacrime, come la vostra, come quella del fruttivendolo, dell'impiegato delle poste o del macellaio. Famiglie, e questo ci basti per pennellare tutte le sfumature che in quella parola vogliamo intendere. 
Se, allora, esistono così tante tipologie di famiglie che generalizzare equivarrebbe a banalizzarne l'importanza nella vita di ognuno di noi - bella o brutta che sia - perché si devono identificarne di giuste o sbagliate, perché uomo-donna sì, donna-donna e uomo-uomo no?
Se mia madre mi avesse cresciuta da sola con mia nonna, non avrei avuto una famiglia - in un certo modo - omogenitoriale? Suppongo di sì. Stessa cosa se mio padre mi avesse cresciuto con suo fratello, suo padre e via dicendo... 
"Ma non sarebbero stati una coppia!"
Ecco il problema: l'omosessualità, punto. Ancora oggi NON CI PIACE. Ditelo, ad alta voce però, senza volervi nascondere dietro a panegirici che farebbero rabbrividire il peggiore degli avvocati (non me ne voglia la categoria, mi sarebbe piaciuta come professione). Non ci piace e basta - non piace a voi per essere sinceri, perché a me va benissimo, anzi andrebbe sperimentata (io l'ho fatto!), ma forse è un concetto troppo estremo e mi fermo qui.
Vorrei però porre un quesito, sperando di non cadere in errori matematici... amodes abbi pietà di me! (lui è un matematico statistico e ho detto tutto):
Se l'omosessualità contraddistingue una condizione per cui non si è adatti a formare un nucleo familiare;
Se la famiglia è il microcosmo minimo su cui si fonda la nostra società - ce l'avete sbandierato in faccia, rintronandoci fino all'ossesso con questo baluardo della famiglia normale - e che della società è specchio;
Significa che l'individuo omosessuale - in quanto tale - non è capace di soddisfare al compito sociale, è inadatto a contribuire alla struttura della società che sulla famiglia si fonda.
Se, però, è inadatto a contribuire alla struttura della società, poiché in quanto omosessuale è per natura innaturalmente adatto a tale scopo, perché mai dovrebbe esserne sostenitore economico? (Voi paghereste una cena in un ristorante per stare fuori nel parcheggio e farla mangiare tutta a quello del tavolo accanto al vostro? Anche no!) 
Ne consegue che: gli omosessuali non devono pagare le tasse per ciò che concerne la famiglia e la sua struttura.
Faccio un esempio:
Perché io donna omosessuale che NON POSSO formare una famiglia, dovrei pagare le tasse per sostenere il pulmino pubblico e messo a disposizione dal comune dove vivo per portare i bambini a scuola di cittadini naturalmente predisposti al proseguimento e alla strutturazione della società? Quella tassa la lascerei a loro, sono figli loro, mica miei, io sono naturalmente inadatta a farmi una famiglia!
Ne faccio un altro:
Perché io uomo omosessuale che NON POSSO formare una famiglia dovrei pagare le tasse per l'assistenza sanitaria del reparto di maternità se per natura sono incapace e inadatto a farmi una famiglia e quindi a procreare? Se la paghino gli eterosessuali che possono per natura fare figli, ed essere accettati dalla società cui stanno contribuendo in modo corretto (secondo natura), a prescindere dal fatto che per cervello siano adatti o meno a crescere un figlio.
Ecco, allora potrei darvi ragione. 
Ultimissimo esempio:
Due anni fa sono stata in vacanza in Corsica con lo mio amodes, suo fratello e fidanzata. Io ero l'unica a non poter bere latte o mangiare alimenti che lo contenessero, quindi mi ero accuratamente portata cose da casa. Ogni mattina facevamo la spesa (eravamo in campeggio) per quello che avremmo mangiato durante il giorno. Va da sé che ciò che conteneva latte io NON LO PAGAVO, perché non ne avrei potuto usufruire. 
Qui è lo stesso: posso farmi una famiglia? Bene pagherò le tasse che devo. Non posso farmela e mi è interdetta qualsiasi possibilità di riconoscere la mia coppia come tale? Benissimo, lo accetto, ma non voglio pagare per chi lo può fare. Se lo paghi da sé!
"Ma è assurdo questo ragionamento!"
Non più del vostro miei signori della famiglia normale (mi fa senso ogni volta che lo scrivo).
Guardatevi intorno: che cosa è normale al giorno d'oggi? E' davvero questa la battaglia contro cui volete combattere? O ce ne sarebbero altre che meriterebbero più attenzione?
Iniziamo ad accettare e ad accogliere, perché quando toccherà agli altri accettarvi e accogliervi sarà brutto ricevere la porta in faccia.
Io quel 23 gennaio 2016 camminavo interpretando quello che non avrei voluto essere, orgogliosa di vedere che i tanti accorsi in piazza a sostenere le unioni civili nemmeno facevano caso a me... Purtroppo a tutti voi che fate muro devono fare caso per forza, perché siete voi a costringerli in un "non puoi, non devi, non sei, non farai". 
Quante piazze gremite e sonanti? Quanti baci, sorrisi, scherzi, sguardi, mani, lacrime e parole hanno inondato l'Italia (e non solo) quel giorno ?
Quando l'uomo scende in piazza per combattere in nome di un diritto diviene poesia, quando lo fa per negare un diritto che lui ha, a chi è come lui, diviene cosa?
Voi, dal basso delle vostre ottuse visioni, cosa siete divenuti? Quante piazze dovremo riempire per dimostrare che l'uguaglianza fra gli uomini non è e non può rimanere una frase fatta?
Se la risposta è milioni, che sia! A me camminare piace, e lentamente piace ancora di più. Che si consumino le scarpe, si sbuccino i piedi, si stanchino le gambe, io continuerò a camminare in piazze arcobaleno come le persone che le riempiranno.

domenica 14 febbraio 2016

Buon San Valentino amore mio

"Oggi è il sesto San Valentino insieme..."
"Il sesto?" e abbiamo riso come matti, meravigliandoci che nonostante tutto, dopo quasi sei anni, siamo ancora insieme.
Chi l'avrebbe detto? Non certo io, pessimista di natura, che quel 22 agosto 2010 mi sarebbe bastato avere un solo bacio da te, e non il primo di una lunga bellissima emozionante serie. Ma questo è, amore mio, quasi sei anni e sei San Valentino festeggiati perché tu ci tieni tanto, a differenza di me che di romantico non ho proprio niente.
Tu sei la parte più bella della nostra storia, perché se fosse stato per me avremo smesso tanto tempo fa. Io che sono pronta a rovesciare tutto in un attimo perché in quel momento così mi va, io che non credo mai in chi mi sta davanti e diffido di chiunque mi passi accanto, io che non sono proprio un fiorellino indifeso, io che di femminile ho forse solo l'apparato genitale.
E poi ci sei tu, bellissimo e con un cuore grande davvero, di quelli caldi e accoglienti, sinceri e fedeli, di quelli che speri di incontrare e che hai sognato fin da bambina; tu con le tue mani grandi che mi sanno prendere anche quando non voglio, tu che mi abbracci forte la sera prima di dormire, che ridi delle mie assurde battute - anche quando io non faccio lo stesso con le tue - tu che mi dici, la mattina appena sveglia "Quanto sei bella eh? Sei così bella da farmi arrabbiare!" e mi insegui per casa fingendo di non raggiungermi mai, io che goffa come sono non riesco nemmeno a fare mezzo giro della tavola che rischio di inciampare...
Ci sei, che sia una giornata buona o una cattiva - e di cattive ultimamente te ne sto regalando anche troppe.
Accidenti a te, che non ti importa se sono in tuta o in abito da sera. Accidenti a te, che riesci a farmi sentire donna sempre, risvegliando in me una femminilità che non ho mai creduto di avere...
Accidenti a te, sì, perché quando torno alle vecchie abitudini, crogiolandomi in frasi fatte sull'egoismo e la cattiveria del mondo, quando mi accontento di accettarli e mi compiaccio di pensare "avevo ragione a credere che...", te ne esci con un sorriso tanto bello da far crollare l'oscurità in cui mi nascondo in milioni di pezzi, che il vento è pronto a portarsi via. 
Accidenti a te che quando te ne vai la domenica sera è come se ti portassi via il sole, per rendermelo ancora più caldo e forte il sabato dopo...
Accidenti a te quando vieni alla stazione per farmi una sorpresa e passare con me quei pochi, miseri, minuti prima che il treno mi porti via...
Accidenti a te che ogni giorno ti dimostri migliore del giorno prima, e mi fai credere nel bene e nell'amore...
E accidenti a te perché quando una come me incontra uno come te e ha la straordinaria fortuna di vederlo restare nella propria vita, di sentirsi amata oltre ogni pensiero di bambina, di vivere emozioni come quelle che mi fai vivere tu... ecco, una come me in quel caso non può fare a meno di mandare a quel paese intellettuali congetture sul consumismo della festa degli innamorati, e dirti:

Auguri amore mio! Grazie per questo meraviglioso sesto San Valentino insieme! Ti amo Amodes!

scandendo così in un melenso, insulso, consumistico, banale elogio a questa insignificante Festa degli innamorati

martedì 19 gennaio 2016

Oggetti smarriti... e se ci riuscissimo a farli tornare a casa?

Ciao a tutti,è tanto che non scrivo, perché fondamentalmente non avevo niente da dire. Il 2015 era stato duro e difficile quanto il 2013 e il 2014, avevo sperato di risollevarne le sorti con il blog e la fisioterapia, ma quando dentro senti che qualcosa non torna, ha poco senso nasconderti dietro  un dito. Ieri, però, è successa una cosa che mi ha profondamente colpita e intendo colpita come un fulmine al cuore!Chi mi conosce lo sa, non sono un'amante di gioielli e preziosi in senso stretto: se non hanno un valore affettivo non racchiudono alcun interesse per me; non mi sfracello sulle vetrine luccicanti delle gioiellerie, la bigiotteria non mi attrae come una gazza ladra e se devo ricevere un regalo preferisco un libro... ma quando quel gioiello rappresenta un affetto forte, unico e speciale, allora tutto cambia.Qualche tempo fa comprai un cosiddetto "Sacchettino di protezione" una collana di corda con in fondo un sacchettino (nel mio caso di velluto verde acqua scuro) al cui interno era possibile mettere quello che si voleva: l'importante era che avesse una valenza affettiva tale da proteggerti nel corso della giornata. Io credo poco, anzi, non credo per niente, e dopo un trascorso cristiano da ultras (catechismo presenze 10/10 - messe in una settimana mi vergogno quasi a dirlo - membro del coro della chiesa - basta che sennò mi sento male!) la mia fede si è spostata in altri contesti, più cosmologici che teologici, per spiegarmi meglio: credo nell'energia dell'uomo e della natura, non in una forza divina (di qualsiasi sorta o provenienza) che segni le nostre decisioni, destini e via dicendo. Negli affetti credo ancora di più. Nelle persone che ti amano e te lo dimostrano sempre, non quando fa loro comodo, o capita per caso, no! Di quelle per cui tu vali tanto e te lo dicono giorno dopo giorno, che se stai male ci sono, se stai bene ci sono, se non le vuoi ci sono ancora di più, perché sanno che la solitudine ti uccide e ti conoscono meglio di quanto tu ti conoscerai mai. Di quelle rare, che non a tutti capita di incontrare, ma se le trovi sei costretto a credere di nuovo nel genere umano, anche se in passato ti ha deluso tanto e continua a deluderti: loro sono in grado di spazzare via il brutto nell'uomo, di regalarti fiducia nel prossimo. Insomma, sono rare, ma ci sono e quando ti regalano qualcosa tu lo tieni stretto a te come fosse parte della tua carne.Questo io ho fatto. Giravo e rigiravo il sacchettino nelle mani, immaginando cosa ci potesse essere dentro di tanto potente da farmi sentire protetta, e la soluzione arrivò da sola: due anelli di non molto valore economico, ma affettivo quello sì. Li avevo portati al dito uniti tanto e tanto a lungo da farmi venire un callo, li tenevo da sei anni al dito... sei lunghissimi anni in cui quelle due presenze mi hanno protetta nonostante tutto. Solo che ora le mie dita ospitavano altri anelli, importanti anch'essi, e non riuscivo a portarli più. Li ho messi nel sacchettino perché fossero sempre con me, proprio come lo erano stati per ben sei anni.E ieri, quando mi cambiavo in sala con gli allievi nani malefici che scorrazzavano di qua e di là e mi sono sentita vuota al petto mi si è fermato il sangue. Ho pensato come e dove potevo aver perduto il sacchettino, ho svuotato le borse, cercato fra i vestiti, mi sono spogliata e rivestita interamente. Il mio sacchettino non c'era più. Sarei corsa indietro, avrei fatto la strada di nuovo tutta, sino alla macchina, ma non potevo. Ero responsabile dei bambini, e nessuno poteva sostituirmi. Non ero sicura di averlo perso lì, è vero, ma facendo la strada a ritroso almeno avrei evitato di sentirmi inutile nel non fare niente...Ho continuato a lavorare confortandomi con l'idea: "lo hai lasciato a casa... tranquilla!" Ma rientrando la sera tardi, la mia camera è risultata vuota. Nessun sacchettino ad accogliermi, a dirmi: "Ehi, mi avevi lasciato qui, vedi? Non vado da nessuna parte se non al tuo collo...".Strano come la perdita di una piccola cosa possa risultare così distruttiva. A me quell'oggetto (e ciò che conteneva soprattutto) faceva stare bene, era un modo per sentire quelle persone vicine al mio cuore, e per sempre al mio fianco. E adesso sono triste, nel vero senso della parola, triste e arrabbiata perché so che chiunque lo abbia trovato, col cavolo che me lo riporterà! E se invece non fosse così? Se la persona in questione - pur tentata dal suo contenuto - avesse in mente di restituirlo al suo legittimo proprietario, perché ritiene sia un oggetto importante per chi lo ha perduto? Sì, voglio avere fiducia nel genere umano. Dimostriamo al mondo di cosa è capace l'uomo se si mette in testa di fare qualcosa di bello, e in fondo è una piccolissima cosa... restituire un oggetto al suo proprietario, dovrebbe essere insito nell'uomo e spero che lo sarà anche stavolta, anzi ne sono sicura.L'oggetto in questione è quello che vedete nella foto in alto, pendente al mio collo, vicino a #poldino (di cui un giorno vi parlerò, promesso). Fra l'altro nella foto in questione potete notare uno degli anelli ancora al mio dito medio sinistro, ma metto una foto più nitida così capite meglio.
Uno è la fascia che vedete al medio sinistro, una semplice fascia di metallo, con sopra incisi quattro scorpioni (o cinque non ricordo bene). E' stato il primo anello che amodes (l'amore della mia vita) mi ha regalato. Stavamo insieme da quindici giorni e lui, nella sua meravigliosa semplicità, mi regalò un anello con il mio segno inciso sopra: "Ho visto prima che lo guardavi... ti piaceva... te l'ho preso". Un gesto così piccolo per lui, un legame infinito per me. Ecco quello che contiene. Legami, affetti, ricordi.L'altro anello è quello che nella foto sopra porto al medio destro. Me lo aveva regalato un mio amico, per un motivo ben preciso. Quando avevo sedici anni avevo un anello a fascia semplice, che tenevo al pollice. Non me lo toglievo mai, era sempre con me. Ci giocavo mentre parlavo e mi identificava come persona per chi mi conosceva abbastanza bene da aver trascorso del tempo al mio fianco. Una di queste persone era (ed è) il mio migliore amico, che qualche anno dopo, fu costretto ad adempiere alla leva obbligatoria; non poteva più rinviare per via dei suoi studi, il paese chiamava e lui doveva partire. Per me fu un duro colpo, eravamo sempre insieme, io e lui, compagni di avventure e disavventure del caso, a sperimentare la vita a suon di risate. Lo immaginai nella caserma, da solo, in un mondo dove di risate ce n'erano sì, ma anche tanti silenzi e facce brutte, e decisi di dargli il mio anello: "Portalo con te, saprai che qualcuno a casa aspetta il tuo ritorno." Partì. Ci sentivamo non tanto spesso, non aveva tutta questa libertà, ma quando lo facevamo batteva sulla cornetta del telefono il mio anello, quello che si era messo al collo: "Lo porto sempre con me!" e io stavo bene. Eravamo uniti e vicini, nonostante tutto. Quando tornò a casa la prima cosa che fece fu rendermi l'anello:"è un po' consunto, ma facendolo lucidare torna come nuovo. Grazie, mi è servito per sentire che casa non era poi così lontana.""Tienilo tu - dissi - ormai è tuo. Ti dirà che ovunque andrai potrai tornare, io ci sarò, e che dovunque andrò potrò tornare, tu ci sarai!" E così fu. Quell'anello ci teneva legati, l'uno all'altra, a prescindere da chiunque entrasse nella nostra vita. Poi un giorno uscimmo, una sera come tante, di quelle che avevamo trascorso mille volte insieme e con una scusa banale: "Apri il portaoggetti, me lo prendi quel sacchetto?" mi porse una scatolina, "è tuo, così anche tu avrai qualcosa che ti conduce a me". Era un anello, quell'anello al mio dito medio destro nella foto sopra, con tre cerchi, uno più grande al centro e due più piccoli ai lati, e due piccole pietre sopra a quello centrale.Ecco il contenuto del mio sacchettino, pezzi della mia vita che sono belli, di quei momenti di cui hai bisogno per capire che non tutto è perduto, nonostante il mondo ti dimostri il contrario. Domenica mattina sono sicura di averlo avuto ancora al collo, e anche domenica pomeriggio, ma non essendone sicura, spiegherò il percorso fatto da domenica pomeriggio a lunedì pomeriggio - 24 ore in cui il sacchettino si è perso nell'universo!Firenze: Domenica pomeriggio ore 16:00 ho preso la tranvia alla fermata Talenti in direzione Stazione centrale.Ore 16:30 sono stata alla mostra Bellezza Divina a Palazzo Strozzi.Ore 19:13 ho preso il treno regionale da Firenze Santa Maria Novella diretto a Foligno, davanti a me erano seduti due ragazzi: uno sulla trentina e del Valdarno (era una faccia conosciuta, ma non ricordavo dove lo avessi visto), l'altro in età compresa fra 16 e 19 anni, amico delle due ragazze sedute alla mia sinistra, intente a leggere e ascoltare musica. Sono scena a San Giovanni Valdarno e sono tornata a casa.Lunedì pomeriggio - ore 16:10 circa - ho parcheggiato dietro la Stazione di San Giovanni Valdarno, ho fatto il sottopassaggio, attraversato Corso Italia, piazza Cavour ed entrata all'Acli dove faccio lezione di Teatro tutti i lunedì pomeriggio. Quando mi sono spogliata per fare lezione con gli allievi il sacchettino non c'era più.So che può sembrare un'impresa impossibile, ma credo nell'umanità e so che il sacchettino può tornare a casa. Ci vogliamo provare? Diffondete ovunque! Facciamo girare la notizia, prendete la foto, fate post... Dimostriamoci che siamo meglio di come ci dipingono e che l'onestà esiste ancora! Grazie e che #riportiamoilcuoreacasa abbia inizio!